Dare una svolta, andare oltre, cambiando direzione, è un’espressione che indica qualcuno o qualcosa che si è adattato, oppure no, alle circostanze. Molto spesso quando usiamo questa espressione è per parlare di un’azienda che è stata simbolo di innovazione, leader indiscussa di un’intera industria ma che poi è caduta dal suo piedistallo per non rialzarsi mai più.
⬅️ Puntata precedente: Storia dell’auto elettrica – Parte #9: l’elettromobile
Un esempio tra tutte è la Kodak, leader nel settore fotografico, che inventò le fotocamere digitali prima di chiunque altro, ma che preferì non produrle ed accantonò l’invenzione, oppure Nokia che non ha saputo adattarsi in tempo al sistema operativo dei dispositivi mobili.
Elettronauti ha deciso di fare luce su una storia controversa che senza alcun dubbio è ancora più eclatante degli esempi precedenti, si tratta di un colosso dell’auto americana che un tempo dominava il mercato e che uscendo dagli anni ’90 era nettamente avanti in una tecnologia in grado di cambiare radicalmente un intero settore, una tecnologia la cui evoluzione è stata descritta nelle puntate precedenti e che si presentava come la grande rivoluzione del nuovo millennio si tratta dell’auto elettrica.
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Con la prima auto elettrica americana di concezione moderna ad essere prodotta in serie, la General Motors non ha sbagliò, o semplicemente effettuò male la sua svolta, ma bensì si arrestò di netto!
Il vero punto di partenza di questa storia è la World Solar Challenge (Storia dell’auto elettrica – Parte #8 l’elettromobile), una gara in Australia riservata a veicoli elettrici alimentati a energia solare. L’obiettivo dell’impresa è quello di attraversare il continente il più velocemente possibile da Nord a Sud, un viaggio di circa 3000 km grazie all’energia del sole.
L’anno 1987 segna la primissima edizione di questo evento e General Motors partecipò alla gara vincendo con ben 22 ore di vantaggio sul secondo partecipante, che non è nient’altro che Ford. Tenuto conto del fatto, che una giornata di gara durava solo 9 ore, GM fu in pole position con più di due giorni e mezzo, rispetto a Ford e quasi una settimana rispetto al quinto classificato.
Bisogna dire che il Team arrivò in Australia con una vera macchina da guerra; il Sun Racer, nato dalla collaborazione tra GM e due sue aziende specializzate in aeronautica; la Hughes Aircraft Company e l’AeroVironment. Il gruppo automobilistico non fece le cose a metà, l’auto solare ebbe diritto ad uno studio aeronautico ultra approfondito, uso di materiali ultraleggeri all’avanguardia, ma soprattutto ed è quello che ha fatto la differenza, un motore elettrico che fu una piccola rivoluzione all’epoca essendo in grado di raggiungere un’efficienza del 92%.
L’amministratore delegato di General Motors, Rogers Smith, rimase così impressionato dal lavoro svolto per il Sun Racer e dal suo magnifico motore, che chiese al team ingegneristico di riutilizzare tutta questa tecnologia, adattandola per costruire un’auto di serie utilizzabile tutti i giorni. Il Team lavorò sodo nei laboratori della società ed a gennaio del 1990, in occasione del Los Angeles Auto Show, svelò una concept car che, senza saperlo, avrebbe fatto l’effetto di una piccola bomba.
La Impact, una coupé biposto che oltre ad avere uno stile sportivo, era l’auto elettrica più evoluta di quanto mai sviluppato all’epoca. GM per mostrare quanto fossero significativi i progressi raggiunti, giocò la carta delle prestazioni, ovvero quasi 200 km di autonomia, ma soprattutto un’accelerazione da 0 a 100 in appena 8 secondi, paragonabile, se non anche, di poco superiore, a quella delle piccole auto sportive dell’epoca.
I pochi giornalisti che ebbero la possibilità di guidarla ne furono entusiasti, ma non solo loro, chiunque ebbe l’opportunità di una prova, dai dirigenti dell’industria automobilistica, alle autorità pubbliche ed anche agli ambientalisti, rimase affascinato da questa vettura ad un punto tale, da considerare che l’Impact poteva rappresentare una seria alternativa alle vetture termiche.
L’accoglienza della stampa e del pubblico fu più che positiva, l’entusiasmo era tale che Rogers Smith lasciandosi trasportare dagli eventi e senza nemmeno sapere se in un futuro prossimo la produzione di questo tipo di veicolo sarebbe stata possibile, il 22 aprile del 1990 al LA Auto Show dichiarò di fronte ai giornalisti che la vettura sarebbe stata prodotta in 20.000 esemplari all’anno, annunciando addirittura che si sarebbe potuti aarrivare a 100.000 unità in pochi anni!
Per i media era certo che, la GM aveva nel cassetto la prossima rivoluzione nel settore automobilistico ed il futuro non era mai stato così vicino.
Sembra il racconto di una favola ma con l’Impact la General Motors aprì il vaso di Pandora, ma i problemi iniziarono subito dopo la sua presentazione.
Come già descritto nella puntata precedente (Storia dell’auto elettrica – Parte #9 l’elettromobile), la California stava affrontando seri problemi di inquinamento atmosferico tra cui un nemico molto visibile, una nebbia inquinante tipica di molte grandi città che normalmente si forma con tempo soleggiato: lo Smog.
Gli abitanti di Los Angeles erano sempre più preoccupati per la qualità dell’aria e in California il miglioramento era la missione del CARB, il California Air Resources Board, un’istituzione governativa che in quel momento storico era in serie difficoltà, infatti nonostante tutte le azioni intraprese per ridurre sensibilmente l’inquinamento, i risultati ottenuti non erano assolutamente all’altezza delle aspettative e lo Stato della California iniziò a subire forti pressioni da parte dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente degli Stati Uniti.
Divenne poi evidente al CARB che bisognava fare qualcosa di più radicale e alla fine degli anni ’80 iniziarono quindi a definire un regolamento completamente nuovo, ma quest’ultimo prese una piega diversa quando videro l’Impact. Fecero di più che ammirare il prototipo, perché ebbero la possibilità di testarla e rimasero scioccati dalle caratteristiche di questa vettura, in quel preciso momento tutto divenne molto più chiaro: “l’auto elettrica rappresentava, il larga parte, la risposta al loro problema.”
Nel settembre 1990, il CARB lanciò il California Clean Air Act, una serie di regolamenti che includevano in particolare il programma ZEV, questo programma era forse un po’ troppo ottimista perché richiedeva la graduale introduzione di veicoli a zero emissioni ai sei maggiori produttori di autovetture tra cui Nissan, Toyota, Ford Motor Company, General Motors, Honda, Chrysler. Concretamente dal 1998 il 2% di tutti i veicoli venduti doveva essere a zero emissioni per poi passare al 5% nel 2001 ed infine al 10% nel 2003.
Per mostrarvi quanto era assurdo questo regolamento, la quota di mercato del 2% definita per il 1998 fu raggiunta soltanto nel 2016 con le auto elettriche, quindi ben 18 anni dopo, pertanto arrivare nel 2003 al 10% era una missione pressoché impossibile.
Nonostante tutto, all’inizio non ci fu panico od enormi quantità di lamentele da parte dei produttori, principalmente perché erano concentrati sugli altri punti del regolamento. La direzione di General Motors era anche piuttosto fiduciosa, non erano affatto d’accordo con la decisione da parte del CARB, ma pensava che la tecnologia delle batterie sarebbe migliorata notevolmente al punto da poter produrle in modo redditizio, nell’arco di dieci anni ed essendo in vantaggio rispetto alla concorrenza, si vedevano già dominare il mercato delle auto elettriche, ma soprattutto si immaginavano di poter negoziare, in futuro, con il CARB, per ridefinire le aspettative, scendendo ad esempio, da 2% allo 0,5%.
Nel 1992, il nuovo CEO John F. Smith Jr. fece annullare o ritardare i nuovi modelli in produzione e incaricò Baker che era il capo degli ingegneri di informare il Team che il programma di un veicolo full elettrico veniva messo in stand by. Altre informazioni in merito non ne diede, lasciando sbigottito il personale incaricato, soprattutto considerati i 27 mesi di duro lavoro svolto. Circa tre quarti del gruppo, tra tecnici ed ingeneri, fu riassegnato ad altri programmi, ma un Team composto da circa 100 persone, si trasferì in un’altra struttura e continuò il lavoro. Baker fu nel frattempo promosso vicepresidente della ricerca e sviluppo, questo permise di mantenne vivo lo sforzo da parte del Team sotto la nuova organizzazione.
Nel 1994, la direzione di GM era decisa a rendere redditizia l’industria della tecnologia dei veicoli elettrici. Bob Purcell, l’allora direttore generale responsabile della strategia aziendale, riorganizzò il gruppo elevandolo allo stato di divisione: GM Advanced Technology Vehicles (ATV).
Tre erano le sfide fondamentali per Bob Purcel: rendere delle tecnologie sperimentali tecnicamente fattibili in modo da produrre veicoli elettrici, fare si che il costo finale fosse il più accessibile possibile permettendo agli azionisti di ottenere un ritorno sui loro investimenti.
Il gruppo GM continuò i suoi esperimenti e nel marzo del 1994, GM stabilì due record internazionali e statunitensi di velocità con una Impact modificata che stabilì un record di velocità avvicinandosi ai 300 km/h per l’esattezza 295.
Nel giugno del 1994, un lotto di 50 Impact, costruite a mano nel piccolo stabilimento Lansing Craft Center, dedicato alla produzione di vetture con bassi volumi di vendita, con sede nell’omonimo Stato del Michigan.
Le vetture furono prestate per un breve periodo di test, a potenziali clienti in una dozzina di città degli Stati Uniti. I centralini telefonici di GM furono presi d’assalto, solo a Los Angeles od a New York si contarono migliaia di chiamate ed i feedback erano molto positivi.
Si trattava di un successo fenomenale!
Eppure, alla General Motors, al di là delle apparenze, questo breve periodo di Test, fu considerato un vero fallimento, perché erano emersi aspetti che non erano stati considerati e l’iniziale ottimismo lasciò il posto ad un crescente scetticismo.
I margini di guadagno risultavano molto risicati, il costo delle batterie era molto alto e l’autonomia era giudicata scarsa, occorreva inoltre tener conto della rete di ricarica, all’epoca inesistente, oltre alla necessità di riqualificazione delle fabbriche e degli operai. In quel preciso momento per General Motors era imperativo modificare il regolamento del CARB ma quest’ultimo era irremovibile.
Conclusione della parte #10
Ci si ritrovò in una situazione complessa, da un lato GM dovette combattere contro il CARB in tribunale per cercare di rimuovere od almeno ammorbidire la legislazione, ma dall’altro doveva rispettarla, perché operativa, quindi lo sviluppo della Impact, continuò.
➡️ Puntata successiva: Storia dell’auto elettrica – Parte #11: l’elettromobile
Interessati a conoscere il seguito di questa avvincente storia? Non perdetevi la prossima puntata e lasciateci un commento.
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Alan complimenti per il racconto dell’avvincente storia!