In questa terza puntata scopriamo come l’auto elettrica sia stata anche oggetto di creatività e ingegno in periodi molto nefasti.
Negli anni ’20, l’America aveva investito in un manto stradale migliore per il collegamento tra le città, consentendo alle persone di viaggiare più velocemente e più lontano. Questa innovazione aveva creato una domanda di veicoli con buona autonomia in grado di viaggiare sull’asfalto. I veicoli elettrici dell’epoca, come segnalato nell’episodio precedente, non potevano raggiungere questo obiettivo o soddisfare la domanda e le auto a benzina erano significativamente più economiche da quando c’erano i motori a combustione interna prodotti in serie da Henry Ford.
⬅️ Puntata precedente: Storia dell’auto elettrica – Parte #2: l’elettromobile
La “grande Depressione”
Poi arrivò la crisi del 1929 il Giovedì Nero di Wall Street che portò alla Grande Depressione ed al blocco della loro produzione, provocando il fallimento di molte aziende.
In Europa, dopo che si è affermata la produzione di massa di automobili, l’alternativa elettrica era meno attraente che negli Stati Uniti. La maggior parte dei produttori (Peugeot, De Dion o De Dietrich) era passata rapidamente dal vapore alla benzina.
La macchina elettrica, in quanto utilitaria, era quasi scomparsa a causa della mancanza di domanda, dell’incapacità di percorrere lunghe distanze e del calo dei prezzi della benzina. I veicoli commerciali, autocarri e furgoni ad uso urbano continuarono a vivere per un lungo periodo, ma questa è un’altra storia che sicuramente merita un capitolo a parte.
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In tempi di guerra le macchine si trasformavano in elettriche
In Spagna in seguito alla Guerra Civile (1936-1939) e durante la Seconda Guerra Mondiale, la restrizione della benzina, sotto la dittatura del Generale Francisco Franco, spinse diverse aziende a dedicarsi alla trasformazione di autovetture e furgoni di ogni genere in auto elettriche.
La società David eseguiva dei retrofit elettrici su carrozzerie e meccaniche provenienti da modelli Citroën e Opel. Nacque una flotta di taxi per la città di Barcellona con autonomia di 50Km e pacco batteria prodotte da Camilo Tinto company.
Il pacco era pronto per essere rimosso e sostituito in breve tempo con batterie cariche come già si faceva nel 1906 con i taxi Siemens-Schuckert a Berlino.
Nel 1941 per i taxi Eucort a Barcellona il rapido cambio del pacco batteria si faceva in apposite quick swap station dove degli addetti appositamente qualificati, si apprestavano a questo nuovo lavoro, forse queste stazioni hanno dato spunto alla sostituzione del pacco batteria delle NIO?
Negli Anni ’40, in Francia, la seconda guerra mondiale interruppe la fornitura di carburante, infatti durante l’occupazione tedesca, la carenza di carburante spinse molte aziende francesi a trovare un’alternativa ai veicoli a benzina.
Fu con i primissimi giorni del 1940 e con la firma dell’armistizio che iniziò l’occupazione tedesca della Francia. Cibo, abbigliamento, intrattenimento, trasporti, ecc.: tutto questo diventò un problema.
Sotto l’influenza delle privazioni, gli ingegneri trovano nuove soluzioni, molti artigiani, più raramente costruttori, iniziarono a produrre auto elettriche, nacque così una flotta di case automobilistiche sotto l’occupazione, a volte sconosciuta al grande pubblico.
La city car elettrica parigina
Peugeot durante l’occupazione tedesca aveva sviluppato una monoposto VLV (Voiture Légère de Ville = city car leggera) che sarà prodotta in 377 esemplari
Era una vetturetta molto compatta, lunga appena 267 cm e larga 121, il telaio realizzato in alluminio, permetteva di mantenere il peso dell’automobile e batterie, sotto i 350 kg.
Quattro batterie da 12 Volt (sistemate nel vano bagagli anteriore), un motore elettrico che sviluppava 3,5 CV, non c’era il cambio, la retromarcia si otteneva invertendo la corrente. Le sospensioni anteriori erano indipendenti e le ruote montavano freni a tamburo. Aveva un’autonomia di circa 35 chilometri e raggiungeva i 36 km/h.
Prototipo italiano di auto elettrica utilitaria
Nel 1941, il regime stava cercando di fare fronte alla penuria di carburante, in quello stesso anno si presentò un prototipo funzionante di vetturetta elettrica creata dagli ingegneri Ferdinando Bordoni e Mario Ferrero per l’azienda elettrica capitolina Agea Governatorato di Roma. Il mezzo, due posti secchi,con due ruote davanti direttrici e la motricità sulla sola ruota posteriore, aveva il telaio in tubi d’acciaio e carrozzeria in legno e alluminio (tecnica aeronautica), pesava a vuoto 525 kg.
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Il motore elettrico da 2 CV, era alimentato da una batteria di accumulatori da 48 V e 135 Ah dal peso specifico di 250 kg, la velocità massima della city car non superava i 40 km/h, l’autonomia era di soli 100 Km.
Il filmato diretto da Arturo Gemmiti, per il “Giornale Luce” del 31 luglio 1941, seguiva la strategia fascista, l’intenzione era di conferire al progetto un’immagine “nazionale”, l’idea prettamente autarchica di prodursi tutto da soli. La vetturetta elettrica dell’ing. Mario Ferrero targata “Roma 76066”, viene ripresa mentre sfrecciava agilmente nel tragitto che si snoda da piazza Venezia, affrontando la salita di via delle Quattro Fontane e quella al Campidoglio da via delle Tre Pile.
Il veicolo, come si può notare nel filmato, era equipaggiato con uno specchietto verticale al centro del cruscotto, il parabrezza in plexiglass, una capotta ripiegabile e un vano anteriore che cela gli accumulatori.
La pionieristica “vetturetta”, purtroppo, fu sacrificata sull’altare della guerra le cui esigenze erano ben altre ed in seguito se ne perse ogni traccia, ma fortunatamente ci rimangono i disegni nell’Archivio Centrale di Stato, con la speranza che un giorno qualcuno riproduca in scala il brevetto n. 385102 per un eventuale mostra storica.
L’uovo elettrico
Nel 1942, L’artista Paul Arzens formatosi al Beaux-Arts di Parigi, creò la sua propria auto elettrica denominata: l’Oeuf Electrique.
La forma di questa vettura a due posti tutta curve con una carrozzeria realizzata in alluminio e con una superficie vetrata realizzata in plexiglass, la rendeva unica e atipica. Un’auto elettrica dal design futuristico e dalle prestazioni interessanti: 350 kg, 70 km/h di velocità massima e 100 km di autonomia.
Tipo A2
Negli Ateliers Louis Breguet, la costruzione di aerei militari è ferma. Il paese ha annullato con l’occupazione i suoi ordini e l’aviazione civile è stata messa a terra. L’azienda intraprende la produzione di auto elettriche e presentò una vettura a motore elettrico da tre posti.
La Breguet Tipo A2 si distingueva soprattutto per la sua carrozzeria con telaio tubolare, un frontale arrotondato con due fari al centro, interni ispirati all’abitacolo di un aereo, in particolare per quanto riguarda il parabrezza diviso in tre parti. Il posteriore era ristretto in modo da alloggiare il motore elettrico tra le due ruote e fare a meno del differenziale, risparmiando peso. Il motore era alimentato da batterie che erano distribuite tra la parte anteriore sotto il cofano e sotto i sedili in modo da ottimizzare la distribuzione del peso. L’auto aveva una marcia avanti a tre posizioni e una retromarcia invertendo la polarità e aveva un caricabatteria integrato.
Per quanto riguarda le prestazioni, poteva avere un’autonomia di 100 km a condizione di guidare a una velocità di crociera di 20 km/h. Per i clienti che vanno di fretta, l’auto poteva arrivare fino a 50 km/h ma l’autonomia scendeva a 65 km.
Pierre Faure Electra
Nello stesso anno della Tipo A2, un ex membro di Breguet, Pierre Faure presentò la sua visione di auto elettrica con l’Electra.
Le somiglianze con la Tipo A2 sono numerose, anzi numerosissime, tra i 2 veicoli, a cominciare dalla stessa linea sfuggente verso il posteriore che evoca l’aeronautica, e fanali anteriori nascosti dietro le due portiere del muso. L’Electra montava a bordo, come la Tipo A2, 6 batterie al piombo da 12V, poste anteriormente e collegate in serie, per una capacità totale di 100 Ah alla tensione di 72 V (rispetto agli 83 Ah a 48 V della Peugeot VLV).
Nella prima pagina della brochure pubblicitaria, oltre alla foto dell’auto il cui nome non appare da nessuna parte ma solo il marchio Pierre Faure, troviamo le principali caratteristiche dell’Electra: una velocità di 50 km/h (contro i 36 della Peugeot VLV), un’autonomia di 75 chilometri, possibilità di ricarica durante la notte (dato il tempo lunghissimo di ricarica) mediante un raddrizzatore di corrente posto a bordo per eseguire l’operazione da una presa di corrente e un peso a vuoto di 550 chili.
Caricabatterie a bordo
Al tempo della Seconda Guerra Mondiale, i veicoli elettrici portavano ancora raramente il loro caricabatterie a bordo infatti erano utilizzati trasformatori molto pesanti e molto costosi, rendendo l’auto dipendente dalla sua posizione di ricarica. Pierre Faure lavorò sull’argomento, con un piccolo apparecchio da inserire in una presa da 110 V e 10 A invece dei 16 A per una questione di sicurezza secondo gli standard dell’epoca. Ma era possibile ricaricare a 220 V, dotandosi in aggiunta di un piccolo trasformatore da interporre tra il veicolo e la presa domestica. Per un rifornimento completo degli accumulatori al piombo il consumo era di 15 kWh, che costavano 6 franchi alla tariffa notturna, quando il litro di benzina era a 5 franchi.
Autélec
La società Freins Jourdain Monneret produceva un piccolo veicolo utilitario chiamato Autélec negli anni dal 1940 al 1943.
Con un motore elettrico che sviluppava 3,5 CV alimentato da una batteria al piombo da 224 Ah, alla tensione di 48 Volt.
L’autonomia di soli 65 km/h per una velocità massima di 50 km/h, sono prestazioni molto basse, ma in assenza di meglio sotto l’occupazione, l’Autélec ebbe un piccolo successo, nonostante il tempo di ricarica che oltrepassava le 12 ore.
Conclusione
Durante la seconda guerra mondiale si contava una gamma diversificata di modelli, da microcar fino a camion da otto tonnellate, più di 27.000 auto elettriche che venivano utilizzate per il servizio di consegna e trasporto di carbone, pane e latte.
Poi alla fine della guerra si ritornò a vendere auto a benzina e per i successivi 20 anni circa, i veicoli elettrici quasi scomparvero dalla circolazione lasciando spazio ai motori endotermici continuamente migliorati ostacolando la domanda di veicoli a carburante alternativo.
Non finisce qui cari lettori elettronauti, continuate a seguirmi per saperne di più.
➡️ Puntata successiva: Storia dell’auto elettrica – Parte #4: l’elettromobile
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