Il decennio post Guerra Fredda fu un’epoca di transizione dove più case automobilistiche provarono in qualche modo a far decollare il settore della mobilità elettrica sia in Europa che in America.
Il regolamento ZEV (Zero Emission Vehicle) Regulatory Act: una legge che imponeva alle case automobilistiche con vendite in California di vendere un determinato numero di veicoli elettrici (inizialmente il 2% del numero totale di auto vendute) fu emanato negli Stati Uniti, nel Novembre 1990, come legge che avrebbe inglobato i regolamenti CARB stabiliti due mesi prima e inizialmente focalizzati sui modelli a combustione interna. I numeri richiesti vennero fissati in base a una percentuale delle vendite nello Stato, di ciascuna casa automobilistica, con sanzioni finanziarie da imporre se questi numeri non fossero stati raggiunti. Comprensibilmente, ci fu una nuova urgenza per i programmi di sviluppo di veicoli elettrici da parte delle case automobilistiche interessate.
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Panda Elettra
Nel 1990, in Italia, la Fiat in collaborazione con l’azienda austriaca Steyr-Puch propose in vendita la Panda Elettra che poteva percorrere fino a 100 km, a velocità costante di 50 Km/h ed con una velocità massima di 70 km/h.
Con un motore a corrente continua DC da 9,2 kW (12 CV), poteva ospitare solo due persone, essendo i sedili posteriori inesistenti come anche parte del bagagliaio interamente occupato da un contenitore in acciaio che conteneva le batterie al piombo acido da 6V.
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L’impianto frenante era stato potenziato e disponeva di un dispositivo di recupero automatico dell’energia in frenata, montava gomme maggiorate es un riscaldamento webasto. Il tempo stimato di ricarica completa in AC era di circa 8 ore tramite caricabatteria automatico collegato ad una presa domestica.
Il prezzo molto alto (costava come 3 Panda “normali”), le prestazioni modeste, la scarsa autonomia e i lunghi tempi di ricarica ne scoraggiarono la diffusione. Il secondo modello, nel 1992, già montava batterie al Nickel-Cadmio e un motore più potente da 24 CV, ma anch’esso ebbe scarsa fortuna ed in totale rimase a listino per 8 anni fino la 1998.
Peugeot 106 Electrique
Sempre nel 1990, in Francia, il gruppo Peugeot-Citroën, grazie al suo partner Heuliez, fece un esperimento unico mettendo a disposizione dei clienti, tramite un sistema self-service gratuito, una trentina di 106 Electric nella città La Rochelle.
Il peso della 106 superava la tonnellata, basti pensare che con 27 CV e un pacco batteria da 120V la velocità massima era di 90 km/h, più che sufficiente per l’utilizzo urbano e come altre automobili elettriche poteva contare anche sulla rigenerazione rilasciando il pedale dell’acceleratore.
L’autonomia del veicolo di circa 80km ne limitava l’utilizzo in città e alla vicina periferia, e mediante la presa domestica bisognava aspettare ben 8 ore per una ricarica completa. La mini-city car fu commercializzata dal 1995 al 2003. Sullo stesso pianale fu venduta la Citroën AX con le stesse caratteristiche tecniche di autonomia e velocità massima. Nel 1997 venne sostituita dalla Saxo elettrica. In caso di acquisto del veicolo, il prezzo a listino partiva dai 92.000 Franchi praticamente il doppio del prezzo della medesima berlina a motore termico con quattro veri posti e per giunta il prezzo non comprendeva il prezzo del noleggio del pacco batteria, 800 Franchi al mese più il prezzo del contratto di manutenzione. Una cosa in comune a queste tre auto era l’uso di un riscaldamento aggiuntivo alimentato a gasolio, necessario per fornire comfort nelle giornate fredde. Il classico tappo del carburante era necessario, per riempire un serbatoio da 8 litri.
Siamo ancora lontani dalle ambizioni di Tesla e dall’autonomia di oggi ed anche senza nessuna agevolazione da parte del governo. La produzione terminò nel 2001 ed in 10 anni vennero vendute 3.542 unità delle 6500 prodotte, ben lontani quindi dagli obiettivi iniziali forse troppo ottimistici che si assestavano sulle 40.000 unità all’anno. Nell’unico anno di produzione, il 1995, furono sfornati circa 690 esemplari della Citroën AX electrique, divenute a pieno titolo automobili da collezione.
Mercedes-Benz 190 Elektro-Antrieb
Nel 1990, Mercedes-Benz aveva abbinato un ottimo telaio con un propulsore elettrico, utilizzando una coppia di motori elettrici da 16 kW (uno per ruota) montati sull’asse posteriore, in modo da mantenere l’architettura originaria, che conferiva alla berlina una potenza di 32 kW (44CV).
Il pacco batteria era composto da celle al Sodio Cloruri di Nickel (Ni-NaCl), rendevano l’auto più pesante del modello diesel 190D ma tra le tante innovazioni c’era anche la frenata rigenerativa. Il produttore aveva sviluppato 7 prototipi, e aveva selezionato i residenti di Rügen, un’isola in Germania, per la cessione in comodato d’uso.
Ogni vettura fu utilizzata quotidianamente e una di esse percorse anche 100.000km in un anno. La casa automobilistica aveva dimostrato la fattibilità e l’affidabilità dei veicoli elettrici nel mondo reale, ma l’autonomia era limitata a soli 110 km e pertanto a causa dei limiti tecnologici dell’epoca, non era ancora in grado di essere un modello da produrre in serie.
Sonata Electric Vehicle
Il gruppo coreano Hyundai ha iniziato a ricercare e sviluppare alternative ai veicoli ICE già all’inizio degli anni ’90, con il suo primo veicolo elettrico prodotto nel 1991 avendo sviluppato uno studio di berlina puramente elettrica basata sulla Sonata di prima generazione. L’autonomia dichiarata era di 70 km e la velocità massima era di 59 km/h. Hyundai aveva pianificato di avere sei veicoli elettrici per i test entro la fine del 1992.
Nel 1992, una vettura elettrica basata sul modello Excel costruita sulla stessa piattaforma della Mitsubishi Mirage e della Dodge/Plymouth Colt, presentava un’autonomia di 99 km e una velocità massima di 100 km/h. Nel 1993 Hyundai sviluppò un secondo EV basato su Sonata e nel 1994 un EV basato sulla Scoupe, ed entrambi dichiaravano un’autonomia di 140 km e una velocità massima di 120 km/h. Si trattava come molte auto elettriche sperimentali, di veicoli alimentati da un pacco batteria al piombo.
Hyundai aprì il suo centro di ricerca e sviluppo a Namyang, in Corea del Sud, nel 1995 portando allo sviluppo di veicoli elettrici con pacchi batteria al nichel-metallo idruro NiMH (inglese: nickel-metal hydride), come il concept Accent EV. Questa vettura offriva un’autonomia notevolmente migliorata; 389 km e una velocità di 24 km/h. Si trattava di modelli che non furono mai prodotti in serie ma rimasero vetrina delle capacità ingegneristiche del marchio.
BMW E1
Alla BMW Technik GmbH era stato affidato lo sviluppo di un’auto elettrica a tutti gli effetti, in seguito al feedback positivo della batteria sodio-zolfo (Na-S) esente da manutenzione e sviluppata appositamente da Asea Brown Boveri (ABB).
L’obiettivo del progetto era di studiare quotidianamente i vantaggi e gli svantaggi della motorizzazione elettrica. Le specifiche includevano in particolare prestazioni adatte all’uso quotidiano, autonomia accettabile, spazio sufficiente per 4 persone e bagagli, nonché il rispetto di elevati standard di sicurezza ed un peso il più contenuto possibile.
La BMW E1 E2 (codice fabbrica Z11) fu progettata in dieci mesi e fece il suo debutto al Salone di Francoforte nel settembre del 1991 in una livrea rossa. Il prototipo, con linee da “citymobil” (lunga 3,46m), due porte e quattro posti, presentava un sistema di propulsione 100% elettrico. L’aspetto era tipicamente BMW, soprattutto nella parte anteriore, che continuava il tema dei fari sdoppiati visto sulla Serie 3 E36 e condivideva con la berlina media anche la larghezza: 1,648 m. L’altezza di quasi 1,4 m le conferiva proporzioni decisamente inusuali per una BMW.
Il motore DC posizionato nell’asse posteriore insieme alla trasmissione aveva una potenza di 32 kW (45CV), ed era alimentato da una batteria sodio-zolfo con una densità di flusso di energia tre volte superiore a quella delle tradizionali batterie al piombo, capacità di 20 kWh ed una tensione di 120V. Il pacco batteria era fissato ad un telaio di sicurezza ed era posizionato sotto i sedili posteriori, pesava 200 kg. Il peso era compensato da un preciso contenimento della massa della vettura, grazie all’utilizzo di alluminio ad alta resistenza per il telaio, cofano e portellone posteriore realizzati in alluminio es alcuni pannelli della carrozzeria in plastica riciclabile, la vettura non superava complessivamente i 900 kg a vuoto.
L’autonomia era dichiarata per 200 km ma in realtà non superava i 150-160 km nel traffico urbano. Mediante caricabatteria interno provvisto di cavo che si collegava ad una classica presa domestica, la ricarica richiedeva 6-8 ore. Le prestazioni erano molto contenute: 6 secondi per passare da 0 a 50 km/h e 18 secondi per raggiungere gli 80 km/h e la sua velocità massima si assestava sui 120 km/h.
Originale la soluzione adottata per il lunotto, in gran parte in vetro, sia per la parte inclinata che per quella verticale sopra il vano targa, che contribuiva con gli ampi finestrini laterali e la linea di cintura piuttosto bassa a rendere l’E1 particolarmente luminosa. La vettura subì una triste sorte, fu distrutta da un incendio pochi mesi dopo la sua presentazione.
BMW E2
L’anno successivo, nel 1992, la casa automobilistica si era rivolta a Designworks/USA con sede a Santa Monica, California (di proprietà di BMW), per la versione americana denominata E2 (codice fabbrica Z15) e fu presentata al Los Angeles Auto Show.
Secondo Chuck Pelly, presidente di Designworks/USA, era fondamentalmente una E1 ridisegnata pensando al mercato americano e l’intento dello studio era quello di conferire all’E2 un aspetto formidabile, con forti svasature delle ruote e pneumatici spostati il più possibile all’esterno con una carrozzeria totalmente nuova rispetto al modello originale.
La vettura era più lunga, più larga e più bassa con una forma complessiva più liscia ed una livrea verde a significare la mobilità green a zero emissioni.
Un cruscotto arrotondato integrava gli airbag laterali del guidatore e del passeggero, un tachimetro, un indicatore di autonomia ed un orologio. Il freno di stazionamento era elettrico.
Nel 1993, fu presentato al Motor Show di Francoforte un prototipo più avanzato dotato di un pacco batteria al cloruro di sodio-nichel (NaNiCl2).
Questa batteria “Zebra” rappresentava un nuovo importante passo avanti perché non solo la sua durata, ma anche l’autonomia e le prestazioni di guida erano migliorate. Il motore della BMW E1 era ora così efficiente che l’energia generata durante le fasi di frenata veniva automaticamente re-immessa nella batteria.
Fiat Downtown
Nel 1993 il Centro di ricerche FIAT ad Orbassano, presentò il prototipo di city car compatta (2,5m), con due motori elettrici da 9,5 CV ciascuno, posti nei mozzi ruota e alimentati da un pacco batteria sodio- zolfo montato posteriormente.
Nell’abitacolo a tre posti, c’erano due posti per i passeggeri ai lati, mentre quello per il guidatore era centrale, spostato in avanti, la vettura poteva raggiungere i 100 km/h con un’autonomia dichiarata di 300 km. Come ogni concept che guardava al futuro della mobilità cittadina, rimase uno studio di design e vetrina del marchio.
Clio Electrique
Nel 1994, la Renault decise di elettrificare la Clio di prima generazione, la cui commercializzazione era prevista a partire dall’ottobre 1995.
La vettura era spinta da un motore elettrico da 12 kW (29 CV) e 125 Nm, posto nel vano anteriore, alimentato da un pacco batteria da 298 kg e 11,4 kWh, alloggiato nella parte inferiore del bagagliaio, sotto il sedile posteriore. Ma con questo peso nella parte posteriore, l’assale della “classica” Clio non era adatto e gli ingegneri della Renault lo sostituirono con l’assale posteriore di un Renault Express e rinforzarono la carrozzeria. In termini di prestazioni quest’auto elettrica aveva un’autonomia dichiarata compresa tra i 70 km e gli 80 km, ma in pratica nella circolazione urbana ci si avvicinava di più ai 50 km.
L’auto appesantita dal pacco batteria e dai vari rinforzi aggiuntivi, non superava i 95 km/h e consumava 22 kWh/100 km. Oltre a questo, aveva un riscaldamento di tipo Webasto a gasolio e dunque era munita del classico tappo per il carburante e di un serbatoio. Un altro problema era il suo prezzo! Esposta a 97.000 Franchi, era più cara delle sue principali rivali (90.000 Franchi per la 106 elettrica) o paragonata alla Clio termica a parità di equipaggiamento (90.300 Franchi per la Clio 1.4 RT). Eppure, lo Stato tramite EDF, concedeva al cliente della Clio elettrica un bonus di 10.000 Franchi (già detratti dal prezzo), e 5.000 Franchi di bonus governativo. Ed ancora, a questo prezzo, l’acquirente aveva solo una Clio elettrica senza pacco batteria.
Renault proponeva il pacco batteria al noleggio a 840 Franchi al mese, con possibilità di acquisto a lungo termine. Ma perché questa soluzione fosse interessante, era comunque necessario realizzare risparmi significativi rispetto ad una vettura di pari categoria con motore termico e con autonomia equivalente (Max 60km). Bisognava contare 27 Franchi di Gasolio o 50 Franchi di benzina, quando il pieno di elettricità costava 9 Franchi con la tariffa notturna, 12 Franchi di giorno. Alla fine, i risparmi realizzati sulla benzina erano annullati dal noleggio della batteria. Questa formula è stata senza dubbio uno dei fattori del fallimento della Clio elettrica, di cui solo 253 unità sono state vendute in Francia tra il 1995 e il 2000, il che non ha impedito alla Renault di offrire una formula quasi identica molti anni dopo con l’avvento della Renault Zoe.
Va segnalato che tra il 1996 e il 1999, per 20 mesi, nel comune di Saint-Quentin-en-Yvelines fu condotto un esperimento con una cinquantina di Clio Electric self-service attraverso il programma “Praxitèle“. Il progetto prevedeva cinque specifiche stazioni di carica ad induzione. Il progetto, seppur innovativo, non fu mai più rinnovato.
FIAT ZIC elettrica
Questa simpatica concept car a motore elettrico centrale, sviluppata dal Centro Ricerche Fiat, fu presentata alla fine del 1994 al Salone di Ginevra, la Fiat ZIC (Zero Impact Car), era nata con l’impiego di tecnologie informatiche in collaborazione con il CNR e lo IED.
Si distingue per la carrozzeria in alluminio e materiale composito. Nonostante il suo motore elettrico, la Fiat ZIC riesce nell’impresa di ottimizzare il suo spazio interno, con quattro veri posti, ma come tanti altri prototipi, per qualche ragione, non è mai andata in produzione.
Vito 108 E Mercedes Benz elektro antrieb
Un veicolo commerciale fu prodotto nel centro di competenza per la mobilità ad emissioni zero “The Competence Center for Emission-free Mobility” (KEM), situato nello stabilimento di Mannheim, in Germania.
Presentato a luglio del 1996 e basato sulla serie W 638, il furgone era ingrado di ospitare fino ad otto persone con un carico utile di 600 kg. Il motore asincrono trifase era raffreddato ad acqua, la sua potenza era di 40kW (54 CV) e la capacità di 35,6 kWh. L’autonomia dichiarata era di 170 km ma si assestava sui 150 km grazie ad un pacco batteria da 280V al sodio/cloruro di nickel (Ni-NaCl), posto dietro la terza fila di sedili la panchina dei passeggeri, dal peso specifico di 420 kg, la sua chimica ad alta energia era denominata “ZEBRA” (Zero Emission Battery Research Activities) ed era efficiente fino a temperature estreme (da -20° a +60°C). Montava un caricabatteria posto a bordo e usufruiva del recupero di energia in fase di frenata. Il servizio postale della Germania Deutsche Post AG, utilizzava dei furgoncini Vito 108 E per le sue attività, nel 1999, l’azienda impiegò cinque veicoli a Brema ed anche all’Expo 2000 per la consegna della posta.
Honda EV Plus
Nel 1997, la casa automobilistica Honda dopo aver incaricato un team di esperti ed eseguito prove per anni su vari concept tentò di entrare nel settore della mobilità elettrica producendo la EV Plus presso lo stabilimento di Takanezawa in Giappone.
A livello design il suo stile era molto legato alla berlina Civic tre porte, con quattro sedili, ma il telaio differiva da quello di un veicolo convenzionale. L’abitacolo, con il suo pavimento piatto e rialzato era completamente separato dal pacco batteria posizionato sotto il pianale. Sebbene oggi sia una caratteristica distintiva nella maggior parte dei veicoli elettrici, si trattava di una vera innovazione che permetteva un interno spazioso e un baricentro basso. Un ingresso per il caricabatterie era situato sul paraurti lato passeggero davanti alla portiera.
Il pacco batteria al nichel-metallo idruro (NiMH) era composto da 24 moduli da 12V, aveva una capacità di 28,7 kWh, pesava 486,1 kg e il motore di trazione era di tipo brushless DC di 49 kW (66 CV).
Sotto al cofano anteriore prendevano spazio i componenti del powertrain, tra cui: l’ECU di gestione dell’auto elettrica, l’ECU del motore, l’unità di azionamento, il convertitore AC/DC, l’invertitore e un caricabatterie di bordo. Il motore e le batterie condividevano un sistema centralizzato di raffreddamento a liquido.
Tra i tanti elementi di benessere installati a bordo c’era anche un riscaldatore di tipo Webasto a gasolio e l’abitacolo presentava un esclusivo quadro strumenti con display a cristalli liquidi con lo stato di carica e le miglia alla scarica indicate in tacche di indicazione e la velocità in grandi numeri.
L’autonomia annunciata era di 180 km in condizioni ottimali, ma in California dove l’auto venne noleggiata a pochi clienti (300 in tutto), la percorrenza reale era molto ridotta forse anche dovuta al peso del veicolo 1630 kg. Il costo del solo pacco batteria era stimato in 20.000$ (equivalenti a 33.800$ attuali), ed i pochi consumatori dovevano installare un caricabatterieda 220V. Gli utilizzatori erano stati avvertiti che il pacco batteria doveva essere sostituito ogni tre anni, rendendo pertanto necessario un apposito programma di noleggio. Honda si era preparata un piano per noleggiare i veicoli sia ai consumatori che alle flotte, un programma di leasing di 3 anni per 455,00$ al mese chiavi in mano compreso l’assistenza stradale e manutenzione del pacco batteria. Il prezzo esorbitante per un’auto così piccola fece naufragare il progetto che ironia della sorte, si concluse nel 1999 con l’arrivo della prima ibrida del marchio; la Honda Insight.
Nissan Altra-EV
Nel 1998 circa, la Nissan Altra-EV fu la prima vettura prodotta con un pacco batteria agli ioni di litio al posto delle batterie al cloruro di sodio e nichel utilizzati da altri costruttori per le loro auto elettriche.
Il pacco batteria di trazione da 92 kWh era composto da 12 moduli, 96 celle e fu realizzato dalla Sony, pesava 362 kg ed era posizionato in un container in alluminio sotto al pianale dell’auto, nella posizione ideale per la distribuzione dei pesi.
Venduta in Giappone e in alcuni paesi dell’Asia, l’automobile aveva quattro sedili in modo da diminuire il peso complessivo per un pezzo complessivo dell’auto che a vuoto che si assestava sui 1700 kg e garantiva un’autonomia di guida ottimale ed un ottimo spazio nel bagagliaio. Al posto del classico motore a quattro cilindri c’era un motore elettrico sincrono a magneti permanenti DC da 62 kW (83 CV) con un processore di controllo del motore RISC (Reduced Instruction Set Computing) ad alta velocità da 32 bit.
L’Altra-EV poteva sfruttare la frenata rigenerativa ed era completamente carica in 5 ore utilizzando un caricabatterie a induzione da 200V di tipo Hughes. L’autonomia dichiarata in città era di circa 190 km e la velocità massima si assestava sui 120 km/h.
Il quadro strumenti indicava la temperatura dell’acqua dal momento che il veicolo era munito da un circuito per raffreddare l’elettronica di potenza ee il pacco batteria. Aveva un piccolo radiatore sotto il cofano dietro al condensatore dell’aria condizionata. L’indicatore a barra “POWER” mostrava la quantità di energia prelevata o restituita alla batteria, con la barra rispettivamente sopra e sotto la riga “ON”.
Sono state prodotte circa 200 vetture e le prime versioni costavano tra 50.000$ e 70.000$ in base all’allestimento, la maggior parte fu utilizzata dalle società elettriche. Nissan portò un certo numero di esemplari Altra-EV negli Stati Uniti per effettuare dei test drive, principalmente all’interno della propria flotta di dipendenti e nelle flotte di diverse utility elettriche. L’auto elettrica non fu mai prodotta in grande serie, perché per la casa automobilistica era in anticipo sui tempi e Tadao Takei, vicepresidente esecutivo di Nissan puntava maggiormente sulle vendite di modelli ibridi seguendo l’onda del successo della Prius Hybrid EV.
Nissan Hypermini
Nissan presentò l’Hypermini, come concept, al Motor Show di Tokyo del 1997. L’auto elettrica era compatta (lunghezza 2,66 m) a due posti, pensata per i pendolari nelle aree urbane, entrò in produzione limitata nel Settembre del 1999.
Come l’Altra-EV, l’Hypermini utilizzava un pacco batteria posto sotto al pianale agli ioni di litio e il motore elettrico, che azionava le ruote posteriori, produceva 24 kW (32 CV) e 130 Nm, la city car raggiungeva una velocità massima di 100 km/h con un’autonomia stimata tra una carica e l’altra di circa 115 km, con l’aria condizionata spenta.
Il veicolo pesava 840 kg grazie anche ad un telaio in alluminio, chiamato da Nissan “hyperbody”, leggero e molto rigido. La batteria poteva essere ricaricata completamente in quattro ore con uno speciale caricabatterie a induzione da 200V.
La Nissan Hypermini era piuttosto innovativa e servì come progetto pilota per auto elettriche e car sharing.
Il progetto di dimostrazione pubblica fu lanciato nel settembre 2000 dal JSK, un’organizzazione ausiliaria del Ministero del Commercio Internazionale e dell’Industria (MITI), con lo scopo di promuovere lo sviluppo di applicativi per veicoli elettrici che incorporano le tecnologie dei sistemi di trasporto intelligenti (ITS). Il prezzo della Nissan Hypermini all’epoca era di 38.000$ US pari a 4.000.000 di yen e ne furono realizzate solo 219, la maggior parte delle quali venne destinato a flotte di prova in tutto il Giappone.
Alcuni esemplari furono spediti negli Stati Uniti dove 15 auto finirono nell’Università della California – Davis e nella città di Sacramento. Nissan Motor Co. Ltd. propose 20 unità al Downtown Rental car System Verification Test Projec, promosso dalla Association of Electronic Technology for Automobile Traffic and Driving (JSK) e dal distretto Minato Mirai 21 di Yokohama con il supporto della New Energy and Industrial Technology Development Organization (NEDO) e della Japan Electric Vehicle Association. Le operazioni di noleggio e riconsegna dei veicoli furono eseguite presso le stazioni dei veicoli non presidiate. Alla fine il progetto Hypermini fu accantonato, Nissan riacquistò le auto e la maggior parte furono rottamate!
Conclusione Parte #9 – Ma non è finita qui!
Durante gli anni ‘90 vediamo l’avvento del pacco batteria sotto al pianale, l’uso del litio, le colonnine di ricarica in AC e quelle ad induzione, ma Nissan come tante altre case automobilistiche piuttosto che continuare ad investire sul full elettrico, voltarono le spalle per puntare tutto sui veicoli ibridi, concentrandosi a migliorare il tradizionale motore termico. É necessario dire, che le EV erano nate, come nei decenni passati, con l’ottica di un utilizzo urbano, per circolare in aree nelle quali viene limitato l’accesso (ZTL) o prendendo modelli già esistenti e adattandoli al powertrain elettrico. Alcuni di questi veicoli non avevano un design gradevole puntando molto sulla funzionalità, meno sul comfort ed erano pesanti con una ripresa lenta. Eppure, un grande colosso americano investì un vero capitale per progettare un motore performante e sviluppare, produrre e commercializzare una vettura dalla forma aerodinamica molto simile al Concept FEV della Nissan. Elettronauti.it ha scritto un articolo molto interessante che vi consigliamo vivamente di leggere.
⚡️ Leggi anche: Nissan FEV – Direttamente dal 1992!
Questa auto elettrica Made in U.S.A. le cui prestazioni erano più che ottimali con un passaggio da 0 a 100 km/h in 8s e una velocità massima che consentiva teoricamente di raggiungere i 300 km/h, era effettivamente un mezzo in anticipo sui suoi tempi ma di questo ed altre chicche, parleremo nel prossimo episodio.
➡️ Puntata successiva: Storia dell’auto elettrica – Parte #10: l’elettromobile
Arrivederci al prossimo episodio!
Ci penserò 😉
No Federico, mi spiace, quello di Toyota è un vizio occulto, così come il richiamo delle batterie di Hyundai Kona…
Ciao Marco ci fa piacere apprendere ulteriori dettagli il giorno dopo della pubblicazione dell’articolo. Se vuoi aiutarci a riportare notizie…
Ciao Marco, se VinFast fa pena per un problema del genere a Toyota cosa avrebbero dovuto fare per aver messo…
In verità queste sono norme applicate anche in Europa. La velocità massima è limitata tra i 20 e i 25…