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    Storia dell’auto elettrica – Parte #6 l’elettromobile

    Eccoci catapultati negli anni ’70. Questi sono gli avvenimenti che si sono susseguiti nel decennio e l’auto elettrica rimane sempre presente.

    ⬅️ Puntata precedente: Storia dell’auto elettrica – Parte #5: l’elettromobile

    La crisi energetica del 1973

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    1973, crisi petrolio da parte dei paesi arabi dell’OPEC | Elettronauti.it

    L’embargo del petrolio da parte dei paesi arabi dell’OPEC (Organization of Petroleum Exporting Countries) nei confronti degli Stati Uniti nel 1973 con l’obiettivo di punire i paesi occidentali perché avevano dato aiuto e assistenza ad Israele nella guerra dello Yom Kippur, unitamente al forte aumento del prezzo del barile, che ne seguì, spinse il governo americano alla ricerca della indipendenza energetica.

    La fragilità dell’Occidente dipendente dal greggio estratto in una regione instabile come il Medio Oriente, finì per convincere l’opinione pubblica a ridiscutere il tema del risparmio energetico. Da quel momento in poi, l’elettrica BEV tornò a farsi strada in un settore monopolizzato dai combustibili fossili.

    Enfield 8000

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    Enfield 8000 davanti al numero 10 di Downing Street residenza e ufficio del Primo Ministro del Regno Unito | Elettronauti.it

    L’imminente crisi energetica degli anni ’70, portò il British Electricity Council che agiva per conto degli enti elettrici di Inghilterra e Galles, ad indire un concorso per la progettazione di un veicolo urbano elettrico. L’Electricity Council disse che le auto elettriche erano pulite, silenziose, affidabili e davano un prezioso contributo alla riduzione dell’inquinamento.

    Tra le proposte di Ford, British Leyland ed Enfield, fù quest’ultima che riuscì a superare tutti i test ed alla fine si aggiudicò l’appalto per una produzione iniziale di veicoli elettrici. Cosi nacque nel 1973 la city car elettrica a due posti, prodotta dalla società Enfield Automotive con sede principale a Pireo, Grecia.

    La vettura, nota anche come E8000 ECCElectric City Car” (simile al prototipo 465), era stata progettata da un gruppo di ingegneri greci e britannici capeggiati da Constantinos Adraktas, allora presidente e direttore tecnico delegato di Enfield.

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    Dallangolo destro constantinos adraktas presidente e direttore tecnico di enfield e alla sua sinistra john goulandris il proprietario di enfield | elettronauti It

    La E8000 era dotata di un motore elettrico da 6 kW (8 CV), alimentato da un pacco batterie al piombo acido (8 moduli – quattro anteriori, quattro al posteriore), aveva freni a tamburo ed un caricatore a bordo che permetteva una ricarica completa in poco più di 6 ore.

    Quest’auto aveva una velocità massima di circa 77 km/h e un’autonomia dichiarata di circa 64 km, ma i vari test drive dimostravano che con una ricarica, l’autonomia non superava i 40 km

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    Enfield telaio tubolare in acciao | elettronauti It

    Il telaio era composto da tubi in acciaio e carrozzeria in lega di alluminio per evitare la corrosione e diminuire il peso complessivo. Il progetto si basava su componenti e parti ampiamente disponibili in tutto il mondo, per una facile manutenzione. Infatti le porte erano recuperate dalle Mini e l’assale posteriore derivava dai veicoli a tre ruote del marchio Reliant, resi famosi grazie alla loro instabilità in curva, mostrata come tormentone comico nella serie televisiva anni 90’ Mr. Bean ed in seguito nel 2007, da Jeremy Clarkson in Top Gear.

    Subito dopo la presentazione, la produzione della Enfield 8000 fu spostata nell’isola greca di Syros per poi essere assemblata sull’isola di Wight, una contea dell’Inghilterra.

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    Foto raffigurante uno enfield 8000 isola greca di syros | elettronauti It

    La city car E8000ECC aveva superato tutti i test necessari per essere prodotta anche in America e l’allora governatore della California Ronald Reagan inviò un aereo cargo per trasferire tre E8000ECC a sostegno della sua legislazione sull’aria pulita ma di fatto, la vettura non fu mai prodotta negli Stati Uniti.

    L’accoglienza del pubblico inglese non era stata delle più calde, si trattava di una minuscola utilitaria con pochi comfort (nemmeno un sistema di riscaldamento), in accelerazione le reazioni erano troppo lente, il motore faceva fatica a spostare il peso a vuoto del veicolo che si assestava a 952 Kg ed in più, il generatore produceva un ronzio importante rendendo la vettura tutt’altro che silenziosa.

    Dal momento che all’epoca non esistevano infrastrutture per la ricarica, la problematica dell’autonomia era proverbiale, perché i pochi proprietari si lamentavano del fatto che durante i limi freddi una ricarica completa permetteva di percorrere solo 24 chilometri.

    Goulandris trasferì presto la produzione in Grecia, ma anche lì non c’era mercato per l’auto, perché non rientrava in nessuna fascia fiscale ed era considerata illegale, così quest’auto fu accantonata, anche per altre scelte da parte del Gruppo. Solo una piccola serie di vetture vennero costruite, per un totale 120 vetture, tra il 1974 ed il 1977, 65 di queste utilizzate dai fornitori pubblici di elettricità Public electricity supplier (PES) e dai comitati elettrici dell’Inghilterra meridionale.

    ⚡️ Leggi anche: Tesla mostra il nuovo robot “Godzilla” – Uno sguardo approfondito all’ultima linea di produzione

    Nissan EV4

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    Ev4 nissan presenta il prototipo al ministero del commercio internazionale 1973 | elettronauti It

    Nel 1973, Nissan presenta al Ministero del Commercio Internazionale i suoi EV4-P e EV4-H dotati di un sistema di rigenerazione in frenata, carrozzeria in plastica rinforzata con fibre FRP (Fiber Reinforced Plastics), che assicurava un’autonomia di 300 km, mantenendo una velocità costante di 40 km/h. La velocità massima era di 90 km/h. Le batterie erano al piombo da 120 V e 170 Ah, ma desiderando una maggiore potenza, Nissan proponeva un pacco con celle zinco-aria che utilizzava un catodo a ossigeno atmosferico ed un anodo di zinco; (168 V, 400 Ah).

    Electro Park e la AMC Gremlin elettrificata

    Nel 1973, il team di City Light modificò un AMC Gremlin per renderlo un prototipo di veicolo elettrico. L’auto era alimentata da un pacco batteria composto da 24 accumulatori ricaricabili da 6 V e aveva un’autonomia di circa 80 km prima di dover essere ricaricata.

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    Electric park gordon vickery ricarica un amc gremlin elettrico | elettronauti It

    SCL sviluppò una stazione di ricarica “Electro Park” a Seattle. Furono scattate delle foto all’inaugurazione edil sovrintendente della City Light SCL Gordon Vickery, venne incaricato di presentare la colonnina, comunicando il costo di 25 centesimi all’ora di addebito per i clienti che ricaricavano la propria auto.

    Si trattava di una operazione mediatica ben strutturata, per dimostrare la propria competenza in materia di mobilità elettrica e dare una risposta concreta nel corso della crisi in atto.

    Fiat X1/23

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    1974, Fiat X1/23, city car elettrica, design firmato da Gian Paolo Boano, Centro Stile Fiat | Elettronauti.it

    Nel 1974 la Fiat realizzo una serie di prototipi di auto elettriche, che non sarebbero mai entrate in produzione, come la X1/23 una concept di vettura da città, il design era firmato da Gian Paolo Boano del Centro Stile Fiat.

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    1974 schema del progetto di auto elettrica cittadina la fiat x123 | elettronauti It

    La city car presentava un motore a corrente continua da 13,5 CV con ruote motrici anteriori e pacco batteria composto da celle al nichel-zinco che pesava 166 kg, alloggiato nella parte posteriore per un peso complessivo di 820 kg. La velocità massima era di circa 70 Km/h, con una autonomia di circa 60 km.

    L’approvazione negli Stati Uniti dell’Electric and Hybrid Vehicle Research, Development and Demonstration Act del 1976 fornì incentivi governativi per lo sviluppo di veicoli elettrici. In America, come in Asia e in Europa, la maggior parte dei progetti riguardanti i veicoli elettrici rimasero però prototipi e solo pochi esemplari furono venduti ad agenzie governative e fornitori di energia, per un utilizzo istituzionale. Questi veicoli erano visti come prodotti curiosi e venivano ostacolati da costi elevati e da una gamma limitata. 

    CitiCar

    In Florida, nel 1974, durante la crisi petrolifera, Sebring-Vanguard (tramite il presidente Robert G. Beaumont e in collaborazione con il designer Jim Muir), propose una golf car modificata dal peso piuma di 591 kg.

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    CitiCar prodotta da Sebring-Vanguard | Elettronauti.it

    La micro macchina CitiCAr fu prodotta in serie con una carrozzeria in plastica ABS e telaio in alluminio, due porte, due sedili e un cruscotto color legno con tachimetro da 50 mph e tanti tasti quanti quelli che troviamo nelle macchine da rally.

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    Citicar quadro strumenti particolare dei pulsanti | elettronauti It

    La Citicar montava un motore a corrente continua da 2,5 CV (fornito da General Electric Company), un pacco batteria al piombo da 36 V, munito di un caricatore e di una presa con tanto di tappo per caricare in AC fino a 110V.

    Su strada pianeggiante, la mini car non superava la velocità massima di circa 56 km/h. Negli anni successivi però, ci fu un migloramento grazie anche a un pacco batteria da 48 V e 125 A posto sotto ai sedili, con un’autonomia dichiarata di 60 km ed una velocità massima di 65 km/h.

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    Citicar pacco batteria sotto i sedili | elettronauti It

    Sebring-Vanguard ha costruito circa 2300 vetture fino al 1977, dopodiché il fondatore Robert G. Beaumont ha venduto l’azienda a Commuter Vehicles, Inc., che ribattezzò la city car: Cometa-car.

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    Comuta-Car con paraurti maggiorati | Elettronauti.it

    Il veicolo fu leggermente aggiornato per conformarsi agli standard di sicurezza con dei paraurti maggiorati, un motore da 6 CV, un pacco batteria da 72 V, con l’alloggiamento di accumulatori supplementari nella parte anteriore dell’auto.

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    Particolari della comuta car con copri batteria anteriore e dettaglio del paraurti antiurto | elettronauti It

    La macchina benché spartana, proponeva un specchietto lato guida, dei finestrini laterali scorrevoli, un riscaldatore, un’antenna montata frontalmente.

    La produzione smise completamente nel 1982 dopo aver venduto 2144 veicoli.

    Electruck

    A partire dal 1974 e fino al 1976, American Motors General, realizzò un veicolo elettrico su base Jeep D.J. adibito al servizio postale degli Stati Uniti e altri clienti tra cui Canada Post il DJ-5EElectruck“. 

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    DJ-5E Electruck frontale | Elettronauti.it

    Era così avanguardia sui suoi tempi che i ricercatori della NASA nel 1977, condussero una serie di ricerche, presentato un documento al Dipartimento dell’Energia (Energy Research and Development Administration),  che ne descriveva il funzionamento interno.

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    Dj 5e celle della batteria e il controller nella parte posteriore motore montato al centro sul telaio della jeep | elettronauti It

    Velocità massima di 52 km/h, autonomia di 46 km e motore da 20 CV a corrente continua CC dal peso di 120 kg. Il pacco batteria pesava 590 kg ed era composto da accumulatori al piombo-acido pb da 27 celle e 54 V con una capacità totale di 330 Ah.

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    Dj 5e celle della batteria e il controller nella parte posteriore | elettronauti It

    Oltre al pacco batteria, sotto al cofano si trovava un regolatore con raddrizzatore di corrente che controllava la velocità e la direzione del motore, rilevava lo stato di carica della batteria e gestiva l’alimentazione ausiliaria.  Una batteria da 12V serviva per l’alimentazione della strumentazione di bordo, l’illuminazione e l’accensione, l’inverter. Ne furono prodotti poco più di 352 modelli.

    Lucas Electric Taxi

    Lucas Automotive, fabbrica britannica di componenti per l’industria automobilistica, avviò un progetto per un auto elettrica ed il prototipo di un taxi, fu mostrato al Motor Show di Londra del 1975.

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    Lucas Electric Taxi vista frontale | Elettronauti.it

    Il marchio aveva deciso che doveva essere un taxi perché un veicolo elettrico fa risparmiare denaro quando percorre pochi chilometri.

    Per il progetto della carrozzeria, Lucas si era rivolto a Ogle, famoso per aver progettato automobili di un certo livello e idearono un design semplice ma funzionale come quello di un piccolo furgone che sfruttava molto bene lo spazio disponibile: lunghezza 3,57 m, larghezza 1,77 m, altezza 1,78 m.

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    Lucas Electric Taxi vista posteriore | Elettronauti.it

    Il taxi fu progettato per avere un motore con trazione anteriore da 216 V (50 CV), con il pacco batteria, composto da accumulatori al piombo acido, posizionato sotto il pianale, in modo da poter essere rimosse e sostituite con relativa facilità. La trasmissione incorporava un motore che era in grado di portare il veicolo dal peso di 2250 kg a pieno carico, fino ad una velocità massima di 88 km/h e con un’autonomia di circa 160 km.

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    Test urbano e extra urbano del veicolo elettrico made by lucas industries | elettronauti It

    L’obiettivo del gruppo non era diventare un produttore di veicoli adibiti a taxi, la società aveva realizzato solo tre prototipi su cui testare le apparecchiature elettroniche prodotte da Lucas Industries. Lo studio andò avanti fino al 1977 e non ricevendo alcun sostegno dal governo, il programma di taxi elettrici si chiuse dopo solo due anni. 

    Electrovette

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    Electrovette Chevrolet | Elettronauti.it

    Nel 1975, la Chevrolet Chevette rappresentava la macchina “entry level” della casa automobilistica, aveva il motore montato anteriormente e la trazione al posteriore. Alcuni economisti interni di GM prevedevano che i prezzi del carburante sarebbero potuti arrivare a 2,50$ al gallone entro il 1980 e che i prezzi si sarebbero triplicati nel prossimo futuro. La direzione di GM aveva predetto che un’auto su dieci sarebbe stata un veicolo elettrico entro il 1995. Pertanto nel 1976, decisero di creare un team di ingegneri per vedere cosa avrebbe potuto essere la Chevette se convertita alla propulsione elettrica e le fu data un nome su misura: Electrovette.

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    Electrovette chevrolet | elettronauti It

    Il progetto di swap in full elettrico, prevedeva il motore dalla potenza di 50 kW (63 CV) e un accumulatore composto da batterie al nichel-zinco NiZn, che permettevano al veicolo un’autonomia di 160km, ma le prestazioni si avverarono deludenti a causa del numero limitato di cicli di carica/scarica e perciò fu installato al posto dei sedili posteriori un pacco batteria al piombo-acido dal peso piuma di 400kg. Il veicolo con solo due posti secchi aveva un’autonomia con una singola carica di 80 km ad un’andatura costante di 48 km/h. La velocità massima si attestava su 80 km/h.

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    Quadro strumenti della electrovette chevrolet | elettronauti It

    Il prototipo fu testato per tre anni di seguito, quando poi i prezzi del carburante non salirono, in effetti, così in alto come era stato profetizzato assestandosi ad 1,00$ al gallone, l’auto fu letteralmente accantonata nel 1979. Per un breve periodo la Electrovette fu mostrata durante degli eventi di ingegneria e tecnologia, alle riunioni degli azionisti ma mai nei saloni automobilistici. Gli ingegneri di GM dichiararono che senza una chimica migliore per le celle del pacco batteria, non si poteva pensare di produrre in serie un’auto elettrica ed economica.

    RT1

    L’ultimo prototipo sviluppato da City Light nel 1976, è stato l’RT1.

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    Prototipo di auto elettrica rt1 city light a seattle washington 1976 | elettronauti It

    Telaio tubolare in acciaio e carrozzeria in vetroresina, il mezzo era progettato per trasportare fino a quattro passeggeri e circolare nel centro di Seattle, in una zona in cui era impedito l’accesso, ai veicoli a combustione interna. 

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    Rt1 carrozzeria in vetroresina | elettronauti It

    Le dimensioni del RT1: lunghezza 2,13 m, larghezza 1,52 m. Il prototipo raggiungeva una velocità di 48 km/h ed una singola ricarica del pacco batteria da 8 accumulatori al pb da 6 V, permetteva, a pieno carico, un’autonomia di ben 120 km, il che, all’epoca, era piuttosto impressionante.

    Conclusione

    Le auto elettriche prodotte non erano ancora in grado di competere con i veicoli a benzina. Ciò era dovuto a una serie di fattori: la tecnologia delle batterie non era sufficientemente avanzata da consentire di coprire lunghe distanze, i motori elettrici erano sottodimensionati e non ancora prodotti in serie, il costo delle batterie era decisamente proibitivo. I produttori intraprendenti proponevano strane automobili elettriche a tre e quattro ruote, di solito di piccole dimensioni, squadrate, fantasiose e poco attraenti.

    Alla fine degli anni ’70 però si iniziava a vedere un cambiamento di rotta dal punto di vista progettuale e si intravedeva ciò che più di 30/40 anni dopo troviamo sulle auto attuali che siano ibride o elettriche ma per questo vi invito a seguire la prossima puntata.

    ➡️ Puntata successiva: Storia dell’auto elettrica – Parte #7: l’elettromobile


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    tecnico meccatronico, formatore automotive, professionista della mobilità. Aiuto i lettori a districarsi nel labirinto delle dinamiche che governano la transizione energetica, dalla burocrazia agli aspetti legati alla guida di veicoli elettrici e non solo, con accenni tecnici per una visione a 360°.

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