A forza e furia di scavare nel passato, noi del team di Elettronauti, scopriamo alcune chicche e le divulghiamo con piacere perché “la storia esiste solo se qualcuno la racconta”, come disse il giornalista e scrittore Tiziano Terzani nel suo libro: Un indovino mi disse.
Ci siamo da poco soffermati sull’annuncio di un auto Elettrica made by Motorola concepita 30 anni fa e oggi cercheremo di fare luce su questa rarità. Navigando nel web fino a poco tempo fa non si trovava nessuna conferma della Motorola Corvette tanto da far credere che fosse una fantasiosa leggenda metropolitana ma poi “The Drive”, ha svolto un’indagine completa e ora abbiamo abbastanza elementi in mano per potervi raccontare come sono andate le cose.
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Se avete seguito le puntate relative alla storia dell’elettromobile, siete al corrente che le moderne automobili elettriche prodotte in serie sono emerse alla fine degli anni ’90, guidate dalla pionieristica Impact che diede vita alla GM EV1, senza parlare dei prototipi di tZero di AC Propulsion Systems che ispireranno i co-fondatori di Tesla per la realizzazione della famosa Roadster.
Siete pronti, siete caldi, bene apriamo le porte ad ali di gabbiano della DeLorean di Emmett “Doc” Brown, saliamo a bordo, inforchiamo il volante, impostiamo la data sui circuiti temporali e pigiamo a fondo il pedale dell’acceleratore per raggiungere le fatidiche 88 miglia orarie. Attivato il “flusso canalizzatore” eccoci catapultati nel 1987, in Arizona, dove alcuni folli ingegneri cercano di battere il record di velocità dei veicoli elettrici senza che nessun responsabile della loro società lo venga a sapere. Per avere un quadro completo dobbiamo ritornare ancora più indietro perché la storia inizia negli anni ’70, grazie ad un curioso ingegnere elettronico dell’Illinois, infastidito dall’aumento dei prezzi e dal razionamento provocato dalla crisi del carburante.
La prima conversione elettrica
Sanjar Ghaem insieme ad un altro amico ingegnere ebbero l’idea di comprare una piccola auto economica e convertirla all’energia elettrica. I due acquistarono una Renault Dauphine usata, strapparono via il motore dal telaio come anche il serbatoio e il sistema di scarico, rimpiazzati da un pacco batteria ed un generatore per aeroplani che avevano preso da un negozio di surplus per 90 $. Dato il peso del vicolo la velocità era paragonabile a quella di una golf cart, la potenza del motore non superava i 25 – 30 CV. Ghaem svolse il lavoro di ingegneria sul motore elettrico e un suo collega e amico svolse il lavoro meccanico, smontando il motore endotermico e fabbricando i supporti per tenere in posizione il nuovo propulsore alla spina. La Renault elettrica andava bene ma certo non era veloce, né poteva andare lontano a causa del controller del motore e degli standard tecnologici del pacco batteria al piombo.
Negli anni ’80 Ghaem era diventato il direttore della tecnologia per la divisione automobilistica Motorola, che all’epoca era una delle migliori aziende tecnologiche del mondo e le auto stavano diventando sempre più computerizzate mentre passavano dai carburatori a l’iniezione diretta con complicati sistemi di gestione del motore con centraline composte da microprocessori e semiconduttori.
Nel 1992 Ghaem e il suo collega appassionato di auto Ken Gerbetz ebbero l’idea di creare un modello dimostrativo della tecnologia automobilistica di Motorola. Una sorta di vetrina da mostrare agli attuali e futuri potenziali clienti. Doveva essere qualcosa di folle, come una muscle car ibrida dal momento che all’epoca stavano producendo un controller per il motore a due tempi sviluppato da Orbital, un’azienda australiana.
Mentre Ghaem e Gerbetz cercavano l’opportunità giusta per presentare la loro idea alla direzione, nel 1993 Gerbetz venne a conoscenza di un team in Arizona che aveva bisogno di aiuto per costruire un’auto da corsa elettrica per una nuova competizione organizzata dalla principale società di servizi pubblici dello stato, chiamata Solar and Electric 500.
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Il team era formato da Don Karner, un ingegnere di alto livello presso l’Arizona Public Service e uno dei primi appassionati di corse elettriche che ha costruito e gestito numerosi progetti negli anni ’80. L’altro era Tom Brawner, il cugino del famoso meccanico della 500 Miglia di Indianapolis (e progettista della Brawner Hawk) Clint Brawner che aveva già convertito con successo un’auto da corsa in elettrica e soprannominata EX-10.
Costituita nel 1990, la Solar and Electric 500 era una gara di creazioni di veicoli elettrici in erba realizzata da scuole superiori, college e altri team di appassionati di veicoli elettrici. È stato uno dei primi nel suo genere, reso possibile dal servizio pubblico dell’Arizona che ha donato fondi e uno o due motori elettrici alle squadre. Si è tenuto al Phoenix International Raceway e ha visto la partecipazione di alcuni piloti professionisti delle 500 Miglia di Indianapolis.
Gerbetz e Ghaem decisero all’inizio di aiutare il team nel tempo libero, senza informare o ottenere l’approvazione di Motorola e puntarono tutte le loro risorse economiche nella nuova macchina da corsa monoposto chiamata EX-11 evoluzione della EX-10 di Brawner. Per portare avanti la loro iniziale idea di convertire una muscle car in un ibrido come vetrina tecnologica, i due avevano bisogno di un supporto finanziario per mandare avanti il loro progetto, soldi che non sarebbero arrivati senza l’assenso di Motorola.
Ken Gerbetz convinse la direzione che competere in questa gara darebbe senza dubbio credibilità alla tecnologica della società e riuscì ad ottenere il finanziamento e trovò anche il pilota, Billy Roe della Formula Atlantic.
Ghaem si occupò di cercare gli ingegneri, Chris Pratt ed Edward Li e Bob il fratello di Ken Gerbetz che si dimostrò avere un talento innato per la progettazione e la costruzione di motori elettrici.
In pochi mesi la monoposto Indy dal peso di 952 kg fu dotata di un powertrain elettronico di tutto rispetto, ricevette un motore elettrico realizzato da GE ma modificato pesantemente da Bob, il motore da 180 Volt in DC produceva un picco massimo di 135 CV. Caricabatterie, convertitore CC/CC e controller del motore erano stati appositamente realizzati dall’ingegnere Shunjiro Ohba proveniente da Chicago.
Per onore di cronaca, Ohba si era fatto un nome progettando e costruendo nel 1980 una Ford Escort chiamata EVcort, convertita all’elettrico e che proponeva sia la frenata rigenerativa che un algoritmo di ricarica a più stadi e ancora prima il controller per l’Electrek Uncar.
La EX-11 montava quattro pacchi batteria posizionati sulle fiancate, 16 accumulatori al piombo acido di tipo AGM (absorbent glass mat) da 12 volt collegati in serie per un totale di 192 volt.
Tom Brawner costruì un alloggiamento per i pacchi batteria con un sistema a sgancio rapido, in tal modo i pacchi si collegavano rapidamente non appena venivano abbassati tramite un carrello manuale.
Anche Toyota si presentò portando un’auto da corsa elettrica sperimentale che poteva andare a 125 km/h, mentre GM un paio di Saturn SC1 elettrici e la famosa concept car Impact che però non superò mai i 149 km/h.
La vittoria del “Solar and Electric 500” fu ottenuta dal EX-11 con i suoi 160 km/h costanti, stabilendo un record mondiale per il veicolo elettrico più veloce guidato su un percorso chiuso.
La vittoria diede credibilità a Ghaem e Bob Gerbetz che grazie al team avevano contribuito a costruire da zero un veicolo elettrico fuori dall’orario lavorativo e nei fine settimana. Toyota rimase cosi colpita dalle prestazioni della monoposto EX-11 e dal team che in seguito offrì circa 5 milioni di dollari all’anno per partecipare a gare di veicoli elettrici per loro, ma ovviamente la direzione di Motorola rifiutò dal momento che tale contratto prevedeva in cambio di consegnare alla casa giapponese tutta la tecnologia derivata.
Conclusione
Il vicepresidente di Motorola Fred Tucker accettò la proposta di finanziare il progetto del duo per convertire una muscle car in elettrico, abbastanza da dare al team 50.000 $. Fu anche concesso il budget per costruire un’auto da corsa EV successiva che sarebbe stata chiamata EX-12. Il team di ingegneri usufruì del capannone di Ohba per fungere da spazio per testare e verificare la potenza dei successivi progetti di motori elettrici, inclusa anche la Corvette che da semplice ibridazione diventò full elettrica e prese il nome di: Motorola Vette.
Lasciate i vostri commenti e continuate a seguirci per non perdervi la seconda parte di questa avvincente avventura.
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