Eccoci qui alla seconda parte della storia della Vette rossa con cappottina bianca by Motorola.
Ma per chi non ha ancora letto la prima parte, vi invito a cliccare sul seguente link: La storia della Motorola E-Vette degli anni ’90 – Parte #1
Alla fine del 20° secolo, il gigante delle telecomunicazioni lavorava costantemente a svariati progetti cercando sempre di innovarsi. Per la cronaca, l’azienda costruì la radio che Neil Armstrong portò sulla luna, sviluppò i microprocessori che resero possibili i personal computer e inventò letteralmente il telefono cellulare.
Tra il ’92 e il ’93, il direttore della tecnologia automobilistica Sanjar Ghaem e il suo team di ingegneri composto da Ken Gerbetz e suo fratello Bob, Chris Pratt ed Edward Li, erano passati da una semplice idea, a costruire realmente due vetture elettriche perfettamente funzionanti; la famigerata corvette e una monoposto.
Il progetto di costruire un’auto da corsa elettrica, era così segreto che prima della fatidica presentazione ufficiale in pista, solo una manciata di dipendenti della Motorola sapeva della sua esistenza. La monoposto EX-11 costruita di fretta e furia, con pochi spiccioli, non sfigurò di fronte a concorrenti del calibro di GM e Toyota, anzi stabilì un nuovo record di velocità massima EV.
A seguito del successo ottenuto nel 1993, Sanjar Ghaem e Ken Gerbetz, convinsero la direzione a dare loro un budget di 25.000 Dollari (che equivalgono ai giorni nostri a circa 50.000 Dollari) per realizzare la Vette e ricevettero anche un finanziamento per la futura monoposto chiamata EX-12.
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La macchina doveva essere una vetrina per varie tecnologie Motorola e di colpo “exit” il concetto di convertire una muscle car in un modello ibrido. La scelta ricade allora sulla Chevrolet Corvette C4, del tutto comprensibile, dal momento che Ghaem per anni guidò una Corvette del ’63 e che una Corvette decappottabile era stata selezionata per la settantesima 500 Miglia di Indianapolis, come Pace Car.
Una Chevrolet Corvette decappottabile rossa del 1987 non marciante era dunque perfetta per il progetto di Motorola e in Arizona, il team di Ghaem si prodigò per rimuovere il motore e tutto il circuito di scarico preparandola per la conversione.
A Chicago, Bob Gerbetz e il team si misero al lavoro progettando e ingegnerizzando tutti i motori su misura, i controller e le apparecchiature EV necessarie.
La Corvette nella sua conversione in elettrica, guadagnò un peso superiore a quella endotermica di circa 300 kg portando il peso totale a ben 1700 kg, il che non è esagerato viste le dimensioni del veicolo e se si compara con una macchina elettrica dallo spirito sportivo come la Cupra Born.
I due veicoli si stavano sviluppando contemporaneamente dal momento che la Corvette avrebbe condiviso gran parte del suo powertrain con il progetto di auto da corsa elettrica. La Corvette doveva essere il banco di prova per il motore Motorola, il controller del motore e la tecnologia della batteria.
Il telaio della EX-12 era quello della Lola Racing Cars per la Indy Lights, con un’esclusiva carrozzeria a ruote chiuse, progettata da Don Karner e Tom Brawner. Il telaio era composto da un controtelaio, per sopperire alla mancanza di motore e trasmissione, mantenendo invariata la rigidità. Contemporaneamente, la conversione della Corvette doveva essere la meno invasiva possibile per non modificare la carrozzeria e non dare nell’occhio, visto che doveva servire da banco prova e circolare in ambito urbano. L’accesso agli accumulatori doveva essere il più accessibile possibile quindi il paraurti posteriore della Corvette, che comprende i fari le a targa poteva staccarsi e scorrere indietro come un cassetto, rivelando parte delle batterie della Corvette per una facile sostituzione, non dissimile dalle auto da corsa EX-11 ed EX-12. Il resto degli accumulatori furono inseriti tra il parafango anteriore e le fiancate del telaio, facilmente rimovibili quando si apriva l’immenso cofano della Corvette.
Il propulsore di entrambe le vetture venne progettato principalmente da Bob Gerbetz, che realizzò e scrisse gli algoritmi per far funzionare tutto il powertrain del controller del motore. Vennero realizzati tre kit composti da motore e serie di controller, un kit andò al programma per l’auto da corsa EX-12, un altro per una Chevy S-10 utilizzata per la ricerca sugli accumulatori e il terzo kit per la Corvette. Gerbetz si occupò della maggior parte della progettazione analogica, mentre Chris Pratt progettò la scheda del microprocessore e della programmazione.
I cinque ingegneri furono ulteriormente aiutati dal padre dei fratelli Gerbetz (gli aiutò a costruire i motori), da Edison Ramirez (tecnico di laboratorio). L’ingegnere Fred Ostrem progettò le scatole per alloggiare tutti i componenti elettronici sotto il cofano, e per finire il guru dei veicoli elettrici anni ’90: Shunjiro Ohba.
La macchina da corsa EX-12 e la Corvette avevano una tensione di sistema da 336 volt, che alimentava un controller del motore da 800 Ampere. Il motore CC di Bob Gerbetz girava a 10.000 giri/min e erogava 157 cavalli continuativamente, con un picco di 272 cavalli se collegato alle batterie al piombo di tipo AGM fornite da Exide.
La chimica delle batterie di Exide non era un gran che, quindi il team acquistò e provò delle batterie al nichel-cadmio (NiCd) che permisero di spingere la potenza totale del motore della EX-12 a oltre 400 cavalli. Poiché Exide era uno sponsor ufficiale del programma EX-12, il team era obbligato a utilizzare le batterie al piombo acido ma ciò nonostante la macchina era veloce, in grado di raggiungere i 257 km/h.
Come la versione da competizione dell’EX-12, la Corvette utilizzava le batterie al piombo-acido di Exide ma la coppia istantanea che si otteneva pigiando sull’acceleratore era tale da non sfigurare con il motore V8 da 240 cavalli. Tuttavia per erogare una tale potenza con degli accumulatori che hanno una elettrochimica di cosi bassa densità energetica, l’autonomia era al massimo di 80 km, non molto per gli standard odierni, ma sufficienti se l’obiettivo era quello di realizzare una macchina sportiva da usare in pista e fare il classico burnout all’americana.
Il progetto si dimostrò un successo strepitoso, l’auto si guidava alla grande, la carica era lenta ma le batterie erano facilmente sostituibili. Il team composto da cinque ragazzi era cosi soddisfatto che si sentivano autorizzati a fare ancora più ricerche, i controller per i motori elettrici sembravano essere la via da seguire per ottenere le migliori prestazioni e il gruppo sembrava avere la benedizione di Motorola.
La direzione di Motorola stava attraversando dei cambiamenti e nel 1993, Chris Galvin era subentrato come nuovo CEO. Sanjar Ghaem era pronto a mostrare il progetto della Corvette al nuovo responsabile dell’azienda dimostrando ai dirigenti gli ultimi sforzi del gruppo di ingegneria automobilistica. Nel frattempo l’ex vicepresidente di Motorola Automotive John Pelland, uno dei primi sostenitori della EV Corvette, si ritirò. Dopo che la Corvette elettrica fu terminata, fu trasportata dall’Arizona nel quartiere generale di Motorola in presenza del nuovo CEO e Sanjar Ghaem dopo un piccolo giro di prova disse che si trattava di un’auto che dimostrava il futuro della mobilità su quattro ruote in un futuro prossimo che si poteva contrare entro i 15 e 20 anni.
Quando i costi previsti per portare la Corvette nella fase successiva di sviluppo iniziarono a salire, la nuova direzione si dimostrò scettica sull’intera visione delle auto elettriche. Soprattutto 15 a 20 anni era per loro un tempo troppo lungo su cui investire, per giunta un lasso di tempo non sufficiente ad ottenere una tecnologia delle batterie abbastanza performanti per trasformare i veicoli elettrici in una realtà concreta.
Il programma della Vette elettrificata fu chiuso, portarono via tutte le apparecchiature di prova e il team inviato a lavorare su altri progetti in Motorola Automotive, come ad esempio per i sistemi di servosterzo elettroidraulico. Ghaem, i fratelli Gerbetz, Chris Pratt, Edison Ramirez ed Edward Li, si separarono. Alcuni rimasero con Motorola anche dopo che Motorola Automotive fu acquisita da Continental Automotive nel 2006 ed altri condivisero la propria esperienza per altre BEV dell’epoca, come la vettura elettrica della GM: la EV1 .
Conclusione
Le auto vennero messe da parte e l’auto da corsa EX-12 che era ufficialmente di proprietà dell’Arizona Public Service, rimase con Don Karner e Tom Brawner. La Corvette, tuttavia, fu nascosta nel retro del museo del campus di Motorola in Schaumburg, Illinois, ma subito dopo l’azienda ridimensionò il museo che doveva servire allo scopo di mettere in vetrina piccoli gadget, cellulari e certamente niente di grande come un’auto. Così il curatore del museo ha acquistato l’auto da Motorola per quasi niente. Dopo anni in disuso l’auto è finita in un’azienda di autodemolizioni e vendita di pezzi di ricambio ed è attualmente messa in vendita: In vendita una potente Chevy Corvette elettrificata 30 anni fa da Motorola.
A differenza della GM EV1, dove i veicoli intatti che arrivavano ai musei erano disabilitati, in genere dei gusci vuoti, la Corvette elettrica è completamente intatta.
Il motore può effettivamente essere modificato e convertito in un motore sincrono CA con un po' di riprogettazione e fabbricazione di un nuovo hardware e tale versione sarebbe in grado di erogare molto più di 400 CV se viene installato un nuovo set di accumulatori attuali.Bob Gerbetz
Dunque che ne pensate di questa storia secondo voi si tratta di una reliquia del passato da mantenere in un museo o da aggiornare per usarla tutti i giorni?
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